Francia, Germania e Stati Uniti: sono le tre destinazioni top per la bellezza made in Italy che chiude il 2017 con un fatturato di 11 miliardi, in crescita del 4,4%, di cui 4,7 miliardi arrivano dalle esportazioni che segnano un balzo del 9% e portano la bilancia commerciale a 2,4 miliardi, record assoluto per il settore. Cresce anche l’Italia con 6,3 miliardi e un +1,3%. I dati preconsuntivi arrivano dall’indagine congiunturale di Cosmetica Italia le cui previsioni per il 2018 continuano a essere positive con un incremento del 5% dei ricavi, del 9,2% dell’export e dell’1,9% del mercato interno.

«L’export si riconferma ancora una volta motore del settore – commenta il presidente di Cosmetica Italia, Fabio Rossello -. La cosmesi made in Italy è sempre più apprezzata nel mondo e continua a conquistare nuovi mercati. Nel 2017, infatti, le destinazioni extra Ue sono salite al 60%, mentre nel 2016 erano ferme al 48%, indice della competitività dell’offerta italiana anche su mercati meno consolidati». In particolare, Hong Kong segna il rialzo più importante (+32,9%) con un valore, da gennaio a ottobre, di 162 milioni pari al 4,3% delle esportazioni totali. Crescita importante anche per il primo mercato in assoluto per il beauty made Italy, la Francia, che con 494 milioni di euro sale del 27,7%, seguita da Germani con 432 milioni in calo del 2%; Stati Uniti a 341 milioni (+4,5%); Regno Unito (276 milioni, -2,4%) e Spagna (245, +4,1%).

«La cosmetica italiana si conferma altamente competitiva e dinamica – commenta Giovanni Foresti della Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo, intervenuto alla presentazione della congiunturale -. Accresce la sua specializzazione nel comparto e rafforza la sua quota di mercato. Un risultato straordinario, ottenuto in un contesto che ha visto la rapida affermazione di nuovi competitor, come Corea del Sud e Cina. Nei settori specializzati in beni di consumo, le imprese della cosmesi, insieme a quelle dell’occhialeria e della farmaceutica, primeggiano per redditività».

Secondo un’analisi dei principali indici finanziari delle imprese fatta dall’associazione di categoria, il 37% delle aziende del settore cresce più del 10% contro il 35% di quelle dell’occhialeria e il 24% del tessile.

Sul fronte dei consumi interni, a fine 2017 il valore dei cosmetici acquistati in Italia ha raggiunto i 10 miliardi. Un risultato conseguito anche grazie alla crescita dei canali professionali: i saloni di estetica sono cresciuti del 2,4% a 240 milioni con un previsione positiva ulteriore del 2,5% per il primo semestre 2018, mentre i saloni di acconciatura sono saliti dell’1,9% a 570 milioni e continueranno il trend (+1,5%). Ancora in lieve calo, invece, le vendite in profumeria, con un -0,5% a fine 2017 e 2 miliardi di euro; ma con una previsione di recupero dello 0,5% per i primi sei mesi di quest’anno. Si tratta del secondo canale di vendita per valore, dopo la grande distribuzione che guadagna l’1% superando i 4 miliardi di euro, pari a oltre il 40% della distribuzione di cosmetici a livello nazionale. Sui numeri del canale incidono in maniera significativa i fenomeni della distribuzione monomarca e dei punti vendita casa-toilette. In lenta, ma costante espansione per i canali dell’erboristeria (+0,9% a 440 milioni) e della farmacia (+1,2% a quasi 1,9 miliardi). Infine il comparto della produzione cosmetica conto terzi ha chiuso il 2017 con un fatturato di oltre 1 miliardo di euro, con un trend positivo pari a +8,5%, destinato a riconfermarsi nel primo semestre 2018. Incremento importante quello delle vendite dirette (+7%), spinte dall’e-commerce che continua a crescere a doppia cifra (+25%). Rimangono, però, ancora marginali i volumi di vendita: 820 milioni di euro per le vendite dirette e circa 300 milioni per l’e-commerce.

«Si parla molto di digital transformation – racconta Gian Andrea Positano, responsabile del Centro Studi di Cosmetica Italia -, ma il processo di adattamento da parte delle imprese non è così immediato come può sembrare. L’industria necessita di un cambiamento graduale, che impatti il meno possibile sulle routine aziendali e, allo stesso tempo, crei valore aggiunto».

Fonte: Il Sole 24 Ore