L’Italia vanta il maggior numero di indicazioni geografiche – IG a livello europeo. Si tratta di un primato non solo numerico, ma anche economico: il valore alla produzione delle IG italiane ha raggiunto quasi 14 miliardi di euro nel 2017 e rappresenta un fattore chiave della crescita del Made in Italy, con un valore all’export di 9,6 miliardi di euro.

La protezione delle IG è un elemento strategico dell’economia italiana e lo è anche per la normativa europea: come sancito dal. Reg. UE n. 1151/2012, “Il valore aggiunto delle indicazioni geografiche e delle specialità tradizionali garantite si basa sulla fiducia dei consumatori. Esso è credibile solo se accompagnato da verifiche e controlli effettivi”.

“Verifiche e controlli effettivi” sulle IG sono necessari anche per tutelare le IG stesse in quanto “patrimonio culturale” dell’Unione. Il primo dei considerando del Reg. UE n. 1151/2012 sancisce solennemente che: “La qualità e la varietà della produzione agricola, ittica e dell’acquacoltura dell’Unione rappresentano un punto di forza e un vantaggio competitivo importante per i produttori dell’Unione e sono parte integrante del suo patrimonio culturale e gastronomico vivo.” E’ utile ricordare che il Trattato UE affida all’Unione il compito di vigilare “sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo” e lo fa all’articolo 3,comma 3,  prima ancora di prevedere l’istituzione dell’Unione economica e monetaria.

L’art. 13 del Reg. UE n. 1151/2012 ha dettato incisive norme per la protezione dei nomi registrati come IG, prevedendo che gli Stati membri adottino le misure amministrative e giudiziarie adeguate per prevenire o far cessare l’uso illecito delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette ai sensi del paragrafo 1, prodotte o commercializzate in tale Stato membro. Tra le protezioni fornite dalla regolamentazione UE ai nomi delle IG vi è anche quella contro “qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera dei prodotti o servizi è indicata o se il nome protetto è una traduzione o è accompagnato da espressioni quali «stile», «tipo», «metodo», «alla maniera», «imitazione» o simili, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente”.

Sotto il profilo normativo europeo la disciplina della protezione delle IG ha nell’art.13.1 del Reg. (UE) n. 1151/12 (rubricato ‘Protezione’). Per usurpazione si intende, un’attività di appropriazione della denominazione protetta, con conseguente indebita acquisizione di pregi e qualità non pertinenti. In altri termini, si sostanzia in una condotta di chi si arroga il diritto al nome di spettanza altrui. Per imitazione, l’attività di riproduzione “con plagio” della denominazione protetta. Tale attività presuppone la sussistenza di un modello che si cerca di riprodurre e, dunque, l’alterità del bene imitato. Per evocazione, la pratica commerciale scorretta capace di suscitare nel consumatore l’idea che quel prodotto abbia le stesse caratteristiche e qualità del prodotto a denominazione registrata o che sia esso stesso prodotto a denominazione registrata.

La Corte ha inoltre chiarito che l’ipotesi dell’evocazione sussiste in presenza di analogie fonetiche, ottiche e, se del caso, concettuali tra le denominazioni in conflitto, in un contesto in cui i prodotti di cui è causa sono simili nel loro aspetto esterno, ossia di apparenza analoga. Nella nota pronuncia ‘Parmigiano Reggiano’/ ‘Parmesan’ la Corte di giustizia ha sancito che “Nella presente causa sussistono analogie fonetiche ed ottiche fra le denominazioni «parmesan» e «Parmigiano Reggiano» in un contesto in cui i prodotti di cui è causa sono formaggi a pasta dura, grattugiati o da grattugiare, cioè simili nel loro aspetto esterno.

Peraltro, che la denominazione «parmesan» sia o meno la traduzione esatta della DOP «Parmigiano Reggiano» o del termine «Parmigiano», si deve tener conto anche della somiglianza concettuale tra tali due termini, pur di lingue diverse, testimoniata dal dibattito dinanzi alla Corte. Tale somiglianza è idonea ad indurre il consumatore a prendere come immagine di riferimento il formaggio recante la DOP «Parmigiano Reggiano» quando si trova dinanzi ad un formaggio a pasta dura, grattugiato o da grattugiare, recante la denominazione «parmesan». In tale contesto, l’uso della denominazione «parmesan» dev’essere considerato un’evocazione della DOP «Parmigiano Reggiano» ai sensi dell’art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento n. 2081/92.”20

Sentenza della Corte Grande Sezione 26 febbraio 2008

Altre pronunce, nel valutare l’etichetta del prodotto, hanno individuato  i profili di evocatività prescindendo dalla denominazione di vendita del prodotto, valutando, invece tutti quei riferimenti grafici o quelle immagini, segni, figure capaci di richiamare alla mente del consumatore la medesima provenienza del prodotto a denominazione protetta. A tal riguardo, il Tribunale di Catania, ha stabilito che un salume a base di carne di maiale   denominato “Salsiccia piccante” e recante in etichetta una rappresentazione grafica della Regione Calabria e le indicazioni generiche “salumi tipici” e “bontà e tradizione”, è indiscutibilmente evocativo della “Salsiccia di Calabria DOP”. Il Tribunale predetto ha ritenuto  che la valutazione dell’evocazione andasse riferita all’etichetta, nel suo insieme di elementi grafici ed elementi descrittivi: da un lato, quindi, l’immagine della Calabria (a prescindere dal fatto che nell’etichetta non fosse presente l’indicazione letterale “Calabria)  è apparsa decisiva in quanto la raffigurazione geografica è quella “unica e caratteristica, della Regione Calabria”. Dall’altro, gli ulteriori elementi, questa volta, letterali rappresentati dalle indicazioni “Salumi tipici” e “Bontà e Tradizione” concorrono a ritenere che tale produzione avesse caratteristiche di particolare pregio e qualità di cui gode la produzione a DOP.

Fonti: Fabrizio Gualtieri e Stefano Vaccari Capo Dipartimento ICQRF. Italian Food Law Association. Rivista di Diritto Alimentare.

Eugenio Selmi, LL.M. in Food Law