A partire dal 12 febbraio 2018, è diventato obbligatorio indicare sull’etichetta la provenienza della materia prima per il riso e la pasta.

Sono entrati infatti pienamente in vigore, i decreti firmati dai ministri Maurizio Martina e Carlo Calenda che consentono ai consumatori, di conoscere il luogo di coltivazione del grano e del riso in modo chiaro sulle confezioni.

La sperimentazione è prevista per due anni. “Proteggere il Made in Italy”  afferma Martina  “significa puntare sulla massima trasparenza delle informazioni in etichetta ai cittadini. Per questo abbiamo voluto con forza sperimentare l’obbligo di indicare espressamente sulle confezioni di pasta e riso il luogo di coltivazione. Un’informazione utile ai consumatori per poter scegliere in maniera informata e consapevole. Uno strumento necessario anche per valorizzare e tutelare il lavoro dei nostri produttori. La trasparenza deve essere una battaglia comune, da condurre con tutta la filiera anche in Europa”. Per il ministro delle Politiche agricole “non c’è dubbio che l’iniziativa italiana abbia ottenuto anche un risultato politico importante: dopo 4 anni la Commissione Ue ha presentato una prima bozza di regolamento attuativo della norma sull’etichettatura. Un passo avanti che va migliorato, a partire dall’indicazione obbligatoria e non facoltativa dell’origine delle materie prime – aggiunge – Stiamo lavorando per una proposta che trovi il supporto della nostra filiera e di altri Paesi europei a partire dalla Francia. Se non cambierà la proposta siamo pronti a dare voto negativo nel comitato che è chiamato ad esprimersi a Bruxelles”.

La trasparenza sull’origine dei prodotti, trova così, finalmente, un primo traguardo  dopo ben 14 anni dalla prima proposta avanzata dai Coldiretti e conclusa con la Legge 204 del 3 agosto 2004. Un passo importante, iniziato nel lontano 2002 con i primi casi di mucca pazza che avevano sollevato la necessità di individuare la provenienza della carne e di rassicurare ma soprattutto di informare il consumatore sula carne che stava acquistando. L’informazione è  la parola chiave che distingue e tutela il consumatore. E’ quanto voluto dall’Unione Europea che con la Regulation 1169/11 oltre a delineare la linea guida dei fatti che devono essere riportati sull’etichetta che accompagna i prodotti, ha tutelato la legge sulla concorrenza, la sicurezza alimentare e la trasparenza per il consumatore nello scegliere un determinato prodotto rispetto ad un altro. Fondamentale per il Made in italy che, oltre ad essere un Brand è un “marchio di fabbrica” conosciuto in tutto il mondo e che vanta credibilità per quanto riguarda lo stile, la qualità e la genuinità dei suoi prodotti. Informare il consumatore vuol dire tutelare il Made in Italy.  

Con l’entrata in vigore dei decreti firmati dal ministro Martina e dal ministro Calenda si porta un po’ di luce in quell’ombra perniciosa in cui si era persa la “certezza” del Made in Italy che aveva trovato uno spiraglio attraverso la definizione offerta del Codice Doganale dell’ Unione, art. 60 “le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio“. Ed ancora al comma 2 Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione“. Troppo debole per un marchio così forte come il Made in Italy.

 

Dott. Eugenio Selmi
Consulente legale per l’Osservatorio Italia in Testa